Un oggetto che mi descrive … nel vero senso della parola

Tra le diverse tipologie di testo incontrate e sperimentate dagli alunni della classe 3C, vi presento dei prodotti di scrittura creativa realizzati da alcuni degli studenti.
Il compito chiedeva di immedesimarsi in un oggetto a loro molto caro per descrivere e raccontare se stessi dal suo punto di vista. E’ stato divertente e in alcuni casi anche emozionante ascoltare le parole con cui i ragazzi, mediante il filtro dell'”intermediario”, si siano aperti, ripercorrendo in maniera più o meno semplice le fasi della loro crescita, i cambiamenti vissuti e i risultati raggiunti.
Buona lettura! prof. Antonella Carbone.
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SONO IL PATTINO SINISTRO – di Federica Dinardo

Sono il pattino sinistro di Federica, e oggi vi racconterò la nostra storia.
Convivo da sempre con il mio gemello pattino destro e siamo identici o almeno lo eravamo fino a 5 anni fa, quando siamo usciti dalla fabbrica.
Per lungo tempo siamo stati rinchiusi in uno scatolone sentendo le voci di tante persone che venivano al negozio in cui vivevamo.
Ne abbiamo subite di tutti i colori abbiamo dovuto abbracciare piedi di tante pattinatrici: piedi piccoli, piedi grandi, piedi profumati e piedi puzzolenti.
Insomma di tutto!
Nessuno però ci ha mai voluto portare a casa.
La nostra vita ha iniziato ad avere un senso un giorno di Febbraio.
Era una mattina come le altre, quando verso le 11.30, qualcuno entrò in negozio.
Un padre con sua figlia, due normali clienti che cercavano dei pattini nuovi per l’inizio della stagione.
Non ho fatto molto caso a loro perché ormai le mie aspettative erano basse.
Pattino destro stava facendo un pisolino, io invece mi divertivo a sbirciare da un buco presente nella scatola i nuovi arrivati.
Dallo scaffale non vedevo molto.
Dopo poco, sentii la scatola muoversi: aveva scelto noi.
Ricordo ancora l’emozione di Federica quando ci ha visto davanti ai suoi occhi.
Il suo viso era gioioso e spiritoso, era illuminato dal sole che entrava dalla vetrata del negozio.
I suoi occhi erano lucidi e ridenti, di un colore azzurro chiaro e le sue guance erano rosse, forse per il freddo di quella domenica di Febbraio.
Ricordo che quando mi ha afferrato un po’ tremava.
Le sue mani erano calde e i suoi movimenti erano delicati.
Percepivo la sua emozione mentre mi guardava.
Non posso darle torto però…eravamo il suo primo vero paio di pattini e modestamente eravamo bellissimi.
Quando infilò il suo piedino, lo abbracciai, e questo calzava a pennello.
Non esitò un minuto a portarmi a casa con lei.
Da allora passammo tanto tempo insieme.
La prima volta che entrai nella pista ero davvero emozionato, finalmente potevo correre sul ghiaccio.
Sentivo il freddo passarmi nel corpo, udivo le voci delle sue compagne di squadra, le risate, la fatica, sentivo ogni cosa, mi sentivo così…libero.
Inizialmente a coprire la mia lama tagliente era uno scomodo paralama di plastica, ma con il tempo Federica me ne comprò uno più caldo e morbido.
Ci teneva davvero a me e dopo ogni allenamento mi puliva togliendomi il ghiaccio di dosso.
Con il tempo facemmo grandi passi…passi da gigante direi.
Iniziammo a fare salti, trottole, prese, insomma di tutto.
Io la vidi crescere e insieme passammo tanti momenti belli e brutti.
L’ho vista cadere e rialzarsi, l’ho vista arrabbiata come il giorno in cui avevano annullato la sua prima gara, ma soprattutto l’ho vista felice, e sapevo che per lei rappresentavo tutto il suo mondo.
Diventammo ottimi alleati sulla pista da pattinaggio, ma come tutti sanno tra compagni di squadra sorgono anche litigi e incomprensioni.
Federica infatti con il tempo mi provocò molti graffi, una caduta dopo l’altra e dopo poco tempo iniziai a sentirmi come un vecchio telefono caduto sul cemento.
Se avessi potuto parlare le avrei detto di andare più piano, ma lei era spericolata, non si arrendeva mai e provava sempre a fare esercizi pericolosi con il rischio di far male a me e anche a se stessa.
Un altro suo grande difetto era che molto spesso mi dimenticava nello spogliatoio dentro la borsa dei pattini, oppure mi affilava le lame solo perché le voleva più taglienti.
Era un po’ egoista.
Ho sofferto molto in questo periodo ma non quanto lei.
Io la percepivo la sua felicità quando m’indossava e percepivo la sua libertà.
Il ghiaccio, la pista ed io eravamo tutto quello che aveva.
Due anni fa però, tutta questa libertà e gioia si trasformò solo in dolore e tristezza.
“Mi dispiace ma non potrai più continuare pattinaggio” le dissero un giorno dopo gli allenamenti i suoi genitori.
Tra tutte le reazioni che mi aspettavo Federica potesse avere, quella che ebbe quel giorno fu davvero inaspettata, perché non reagì.
Lei è sempre stata una ragazza ragionevole e comprensiva e sapeva lo sforzo che i suoi genitori stavano facendo per farle praticare quello sport.
Io però la conoscevo bene e lei era abituata a tenersi  sempre tutto dentro, non si lamentava mai e tutta quella rabbia  e tristezza voleva solo nasconderla dentro di sé e ci riuscì.
Federica sorrideva sempre ma io la vedevo quando la notte mi tirava fuori dalla borsa e mi stringeva piangendo.
Non l’avevo mai vista soffrire cosi tanto.
I suoi genitori cercarono di trovare un’altra associazione ma lei era così arrabbiata dentro che non ne voleva sapere più niente del pattinaggio.
Troppi ricordi, troppi momenti, troppa nostalgia e troppa paura.
Furono due anni tristissimi anche per me che mi sentivo marcire dentro una borsa, chiuso in un armadio.
Non la vedevo più, non vedevo più il suo viso gioioso, i suoi occhi chiari e il suo sorriso smagliante.
Poco tempo fa però tutto è cambiato.
Mi aveva tirato finalmente fuori da quell’armadio.
Insieme  volevamo rialzarci da quel brutto momento, perché avevamo capito che restare tristi non avrebbe cambiato le cose.
Dovevamo affrontare i vecchi ricordi.
Il giorno in cui andammo a fare la prova al palazzetto di Sesto San Giovanni, sentii finalmente un po’ di aria fresca.
Solo quando mi tirò fuori dalla borsa mi resi conto di quanto era cresciuta e me ne resi conto anche quando m’indossò.
Il suo piede era cresciuto molto e quasi mi faceva male abbracciarlo di nuovo.
Il suo carattere però era sempre lo stesso.
Era sempre la solita ragazza spiritosa, gioiosa e piena di voglia di fare e imparare.
Mi ero dimenticato di quella libertà che provavo quando salivo sul ghiaccio.
Finalmente adesso abbiamo ricominciato ad allenarci e vedo di nuovo la sua felicità e la sua libertà.
Adesso facciamo parte dell’unica squadra di cheerleader sul ghiaccio d’Italia.
Lei è felicissima di provare questa nuova esperienza, lo percepisco dai suoi discorsi con la mamma.
Con questa squadra stiamo facendo tante cose nuove: abbiamo imparato nuovi salti e nuove trottole.
Purtroppo però da settimana prossima non ci sarò più io ad accompagnare la piccola Fede sul ghiaccio.
Sono troppo vecchio per lei.
Però mi ha promesso che non mi butterà mai via e che io resterò sempre il suo ricordo migliore.
Sono triste di doverla lasciare, ma sono felice di essere stato anche il suo primo pattino sinistro.

LA PLAYSTATION – di Francesco Ferlita

Ciao, io sono la playstation di Francesco. Sono stata acquistata nel lontano 2016 e da lì Francesco ha sempre giocato con me. Un po’ di tempo fa, trascorrevamo insieme quasi tutto il giorno, con me vicina studiava, mangiava, giocava… Mi ha sempre trattato bene, mi ha posizionato sulla scrivania vicino alla televisione davanti al letto, spesso mi spolverava e si prendeva cura di me. In fondo Francesco è un bravo ragazzo…molto in fondo! Con lui ho conosciuto tanti dei suoi amici e anche gente qualunque che di solito, giocando ai videogiochi, incontrava. Ovviamente vinceva tutte le partite che faceva con queste persone e, subito dopo, se ne vantava. E’ proprio grazie a loro che Francesco ha imparato l’inglese; queste partite erano spesso accompagnate da insulti, grida e urla. Oltre a questo e, come se non bastasse, ha spaccato molti controller e cuffie che ora sono nel cassetto sopra il letto a riposare in pace. Francesco mentre giocava non si arrabbiava sempre, infatti c’erano momenti, di solito verso la sera, in cui si metteva a parlare con i suoi compagni e li trascorreva ridendo e chiacchierando in tranquillità. Un giorno, decise di contare le sue ore di gioco totali. Diceva: “2.000 su Destiny, 1700 su For Honor” e così quando arrivò alla fine, calcolò un totale di 11 mila ore trascorse con me. Da quel giorno Francesco è cambiato, ha ridotto le sue ore di gioco e da allora ha iniziato a dedicarmi sempre meno tempo, pur non abbandonandomi mai del tutto. Con il passare degli anni sono diventata più vecchia e la mole di dati che Francesco aveva sulla playstation occupava tutto. Così ha deciso di comprare un’estensore di memoria per evitare problemi. Purtroppo con il passare del tempo mi surriscaldavo in continuazione, tanto che un giorno mi smontò, pulì tutta la polvere che avevo dentro e in un primo momento, ripresi a funzionare bene, poi però mi fusi completamente e perciò mi ritrovai seppellita tra gli oggetti dimenticati del sottoscala. Un giorno, Francesco ha comprato un’altra playstation e non so come, ma è riuscito a trasferire tutti i dati, quindi ora sono come nuova. L’unico aspetto negativo è che oggi la mia memoria è tre volte più grande di prima e quindi l’estensore che aveva acquistato e pagato un occhio della testa è praticamente inutile.

IL BRACCIALE DI SABRY – di Sabrina De Michele

Ciao a tutti! Mi presento, sono il bracciale di Sabry.
Lei mi ha dato un nome, molto semplice ma mi piace, mi chiamo Pandora, il signor Pandora.
Ci siamo conosciuti il 21 maggio del 2019, quando sono stato acquistato da sua mamma Maria e sua zia Betta.
La mia chiusura è un lucchetto a forma di cuore, originale, come lei definisce. Sono fatto di acciaio ma sono argentato; di solito faccio molto rumore e alle persone non sempre piace, ma a lei rilassa.
All’inizio non avevo nulla con me, però ora sono vestito con dei bellissimi ciondoli. Per Sabry ognuno rappresenta un ricordo o un’emozione.
Non sono solo, lei ama molto i gioielli, infatti nel braccio destro mi fanno compagnia altri 8 bracciali ma io sono il suo preferito. In effetti lei dedica molto tempo a me; mi pulisce ogni due settimane facendomi un bagno nell’acqua tiepida e sapone, poi con un panno in microfibra pulisce me e i ciondoli con molta pazienza stranamente perché stando con lei tutto il giorno tutti i giorni, so che è una ragazza caotica e poco calma ma molto buona, solare, sensibile, insicura, a volte dura con se stessa, che si impegna in ogni cosa che fa, anche se in alcuni momenti può sembrare menefreghista e strafottente, in realtà quest’apparenza è solo un’“armatura” che indossa con gli altri per non soffrire.
A lei piace stare in compagnia e uscire con gli amici oltre ad avere molte passioni come la danza, che pratica da 11 anni, il canto e la musica, che la calmano, la rilassano e le permettono di sfogarsi; quando la vedo con le airpods nelle orecchie capisco che ha bisogno di pensare a ciò che succede, ciò che la fa stare bene o male.
La sua camera non è molto disordinata, a parte il letto mai rifatto e la scrivania piena di cianfrusaglie, il resto è in ordine perché quando Maria le dice di mettere a posto, Sabry infila qualsiasi cosa le passi sottomano nell’armadio dove sembra essere esplosa della dinamite. Lì dentro ci sono per lo più vestiti neri o bianchi, ha pochissime cose colorate, per fortuna, quando fa il cambio di stagione estivo, inizio a vedere qualche colore.
Sento sempre i suoi discorsi e a volte mi chiedo come facciano gli altri a sopportarla, parla troppo!
Si lamenta sempre per ogni cosa, la sento ripetere per le interrogazioni o verifiche, la sento cantare e scherzare con i suoi amici. Ultimamente non la sento più parlare di ragazzi- inspiegabile!!- ha gli ormoni a mille eppure ha il cuore libero, non pensa a nessuno, almeno così dice lei.
Ciò che proprio non sopporto è essere cosparso di profumo ogni mattina, ormai il mio odore non è più quello dell’acciaio.
A parte questo, mi sento molto legato a Sabrina, con cui condivido tanti momenti e devo riconoscere che proprio grazie a lei, a cui piace tanto viaggiare, ho visitato molti posti che altrimenti, non avrei mai potuto vedere.
Alla fine io sono solo un bracciale, ma sono il bracciale di Sabry!

L’ANTIZANZARE – di Simone Raudino

Ciao a tutti, io sono l’antizanzare di Simone, l’ho accompagnato in vari momenti della sua vita, dal 2017. Per me aver fatto l’antizanzare di Simone è stato un lavoro a tempo pieno, infatti ero inserito ad una spina di fianco al suo letto, senza essere quasi mai staccato e questa cosa mi costava moltissime energie, ma per il resto non potevo lamentarmi molto, perché ero trattato come un signore, infatti venivo sempre riempito di complimenti.
Simone, durante il primo anno delle scuole medie, non aveva molti amici, e considerava me come uno dei
più fedeli che avesse mai avuto. Un grandissimo difetto di Simone era russare molto, disturbando il mio sonno, facendo dei versi simili a dei grugniti, difetto questo che ultimamente è scomparso per fortuna!
Circa un anno fa, Simone venne in camera sua e mi trovò completamente spento, pur essendo attaccato alla presa; cercò di aggiustarmi ma senza successo e molto rammaricato decise che era giunto il momento di mandarmi in pensione.
Dopo anni di onorato servizio mi mise nella zona più alta della stanza a guardare gli altri oggetti come fossi un re. Mi ha promesso che sarei stato sempre molto importante per lui e che mi avrebbe dato in eredità ai suoi figli una volta morto.
Nell’ultimo periodo Simone ha deciso di sostituirmi con un oggetto che ha la mia stessa funzione . Ciò mi ha fatto sentire molto male e per un po’ di tempo sono stato arrabbiato nei suoi confronti: in men che non si dica mi aveva già rimpiazzato .
Ultimamente ho compreso le sue necessità, ho deciso di perdonarlo, dopo aver avuto un periodo di riflessione.
Ora continuo a vivere in camera sua, vedendolo crescere e affrontare nuove esperienze, ricordando quando facevo parte anch’io delle sue avventure.

UN PELUCHE DI NOME BIRILLO – di Francesca Squassi

E’ il 18 ottobre del 2009, mi trovo in una grande casa, in un sacchetto. Credo di essere un regalo.
Sono tutto stretto dentro la carta dei pacchi. All’improvviso vedo una piccola mano che mi afferra e comincia ad abbracciarmi e a saltare per la gioia. La bimba si chiama Francesca.
Sono circa le 20 e Francesca e la sua famiglia sono riuniti per la cena. Questa bambina non mi lascia un attimo e mi porta anche a tavola, sul suo seggiolone.
Non sapevo che sarei diventato tutto per quella bimba, il suo migliore amico. La prima notte insieme, ancora non avevo un nome, era troppo piccola per deciderlo,  misero la bambina nel lettino, ed io ero di fianco a lei. Mi teneva abbracciato, fin dal primo giorno mi voleva bene. Gli anni passano ed io sono in assoluto il suo pupazzo preferito, mi porta ovunque. Un giorno Francesca iniziò la scuola e non mi portò con sé, ma mi lasciò nel suo lettino. Aveva tre anni. Piange e non smette perché mi vuole. Affronta una lunghissima giornata di scuola ed, appena torna, mi prende e faccio merenda con lei. Per tutto il tempo che è stata via io mi trovavo nel suo lettino.
I giorni passano e Francesca cresce. È estate e lei, ogni anno, parte e va in Sardegna per due mesi. Decide di portarmi con sé. Affrontiamo un viaggio di quattro ore in macchina, io sono in braccio a lei che si trova sul seggiolino. In famiglia sono in cinque. Quindi stanno tutti stretti in macchina tra i bagagli, ma Francesca mi vuole vicino a lei. Arriviamo al porto e sono, come al solito, tra le sue braccia. Passiamo la notte in cabina e la mattina ci svegliamo prestissimo.
C’è una cosa che mi ha sempre fatto tenerezza di questa piccola bambina, lei pensa che di notte ci siano dei mostri e che quindi sono io a proteggerla. A volte, se non mi trova prima di dormire, piange e quando mi trova è felice.
Finalmente ho un nome, Birillo. Fa un po’ sorridere come nome, ma mi piace. Francesca è cresciuta e la sera, prima di dormire, mi racconta le sue giornate. Mi piace ascoltarla. Nella sua vita entra un nuovo amico, un cane di nome Mac. È un cucciolo di una razza molto strana. Francesca è cresciuta e sta molto tempo con Mac, ma dorme ancora con me; in questi ultimi giorni ho provato la terribile sensazione di essere preso in bocca da un cane, sono ancora ricoperto di bava. Mi mettono in lavatrice, un’altra sensazione orrenda. Ora sono bagnato, così mi mettono al sole  e il giorno dopo sono pulito e profumato, pronto per dormire con Francesca.
È cresciuta. Ora ha tredici anni. Non dormo più con lei e non mi calcola. Ormai è una ragazza e ha bisogno dei suoi spazi. Fortunatamente non sono diventato un giocattolo del cane.
Credo di essere cresciuto con questa bambina, e oggi ripenso a tutte le esperienze fatte insieme.
So che mi vuole ancora bene ed io ne vorrò sempre a lei.

 

 

 

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